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La filosofia di Han Bennink
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La filosofia di Han Bennink (L'improvvisazione secondo un batterista)
Raul Catalano
104 Pagine
Mimesis
La pubblicistica in volume relativa ad Han Bennink è alquanto sparuta, ancor più in lingua italiana, per cuidiciamolo francamentea voler bucare questa cortina di silenzio si poteva fare senz'altro di più. Il lavoro di Catalano, batterista-filosofo veneziano, consta di un'introduzione fin troppo sintetica sulla figura del grande batterista (per limitarci alla sua immagine più conosciuta) olandese, per poi passare all'analisi di una serie di album che l'autore ritiene evidentemente paradigmatici della carriera e dell'estetica del Nostro, album che però si arrestano al 1974, vengono affrontati snocciolando una serie di quelle che potremmo definire "note a piè d'ascolto," tipo quellevien da direche noi che di musica incisa scriviamo siamo soliti appuntarci durante l'ascolto della miriade di dischi che si accalcano sulla nostra scrivania, con destinazione lettore (CD) e poi altro lettore (auspicato), in carne e ossa, che eventualmente vorràbontà suaprender visione di quanto abbiamo da comunicargli.
Ogni scheda (chiamiamola così, e sono comunque solo cinque) è integrata da citazioni, tanto frequenti (come numero) quanto generose (come mole), nonché da una "riflessione associata" finale, lunga anche diverse pagine, che si affianca e si somma alle summenzionate citazioni, foraggiando ulteriormente la trattazione e la stesura globale del volume (cui non giova troppo, detto en passant, il ricorso, qua e là, ad abbastanza improbabili neologismi).
L'impressione che si fa strada, e che il terzo e penultimo capitolo rinforza cospicuamente, è che Bennink si risolva (o dissolva?) talora in poco più di un pretesto, un grande coperchio sotto cui bolle altro: l'ego dell'autore, per esempio, il suo essere batterista (si riferisce più a lui che all'illustre collega olandese il sottotitolo del volume?), nonché cultore di cose filosofiche, e poi naturalmente l'improvvisazione, come essenza stessa del gesto creativo.
Il quarto e conclusivo capitolo si svolge infine attorno a un concerto in duo con Uri Caine e relativa chiacchierata Bennink/Catalano, senza che ci abbandoni mai l'impressione che si sia voluto costruire un libro su una manciata di dettagli, perdendo un po' di vista il nocciolo (la sostanza) della questione in favore di divagazioni varie. Un po' un'occasione persa, come dicevamo all'inizio, al di là di svariati passaggi di utilissima lettura.
Raul Catalano
104 Pagine
Mimesis
La pubblicistica in volume relativa ad Han Bennink è alquanto sparuta, ancor più in lingua italiana, per cuidiciamolo francamentea voler bucare questa cortina di silenzio si poteva fare senz'altro di più. Il lavoro di Catalano, batterista-filosofo veneziano, consta di un'introduzione fin troppo sintetica sulla figura del grande batterista (per limitarci alla sua immagine più conosciuta) olandese, per poi passare all'analisi di una serie di album che l'autore ritiene evidentemente paradigmatici della carriera e dell'estetica del Nostro, album che però si arrestano al 1974, vengono affrontati snocciolando una serie di quelle che potremmo definire "note a piè d'ascolto," tipo quellevien da direche noi che di musica incisa scriviamo siamo soliti appuntarci durante l'ascolto della miriade di dischi che si accalcano sulla nostra scrivania, con destinazione lettore (CD) e poi altro lettore (auspicato), in carne e ossa, che eventualmente vorràbontà suaprender visione di quanto abbiamo da comunicargli.
Ogni scheda (chiamiamola così, e sono comunque solo cinque) è integrata da citazioni, tanto frequenti (come numero) quanto generose (come mole), nonché da una "riflessione associata" finale, lunga anche diverse pagine, che si affianca e si somma alle summenzionate citazioni, foraggiando ulteriormente la trattazione e la stesura globale del volume (cui non giova troppo, detto en passant, il ricorso, qua e là, ad abbastanza improbabili neologismi).
L'impressione che si fa strada, e che il terzo e penultimo capitolo rinforza cospicuamente, è che Bennink si risolva (o dissolva?) talora in poco più di un pretesto, un grande coperchio sotto cui bolle altro: l'ego dell'autore, per esempio, il suo essere batterista (si riferisce più a lui che all'illustre collega olandese il sottotitolo del volume?), nonché cultore di cose filosofiche, e poi naturalmente l'improvvisazione, come essenza stessa del gesto creativo.
Il quarto e conclusivo capitolo si svolge infine attorno a un concerto in duo con Uri Caine e relativa chiacchierata Bennink/Catalano, senza che ci abbandoni mai l'impressione che si sia voluto costruire un libro su una manciata di dettagli, perdendo un po' di vista il nocciolo (la sostanza) della questione in favore di divagazioni varie. Un po' un'occasione persa, come dicevamo all'inizio, al di là di svariati passaggi di utilissima lettura.