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Euro Open Jazz Festival 2014
Ivrea e Banchette20-22.03.2014
Il trittico centrale del festival dedicato al duetto è partito la seconda sera a Banchette, in una Sala Pinchia esaurita da giorni, con Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura, il primo rivolto (come del resto gli accade da un po') più al flicorno che alla tromba, il secondo votato unicamente al bandoneon, su cui del resto eccelle. Fresu ci ha tenuto subito a precisare che comunque, a scanso di equivoci, non avrebbero suonato tango né musica argentina in genere, proprio mentre al suo coéquipier "scappavano" schegge di "Libertango..." Si è passato in effetti in rassegna parecchio Sudamerica, Uruguay, Cile ("El pueblo unido" degli Inti Illimani, "Te recuerdo Amanda" di Victor Jara) e Brasile (Jobim, "O que serà" di Chico Buarque), senza dimenticare la Francia di Trenet ("Que reste-t-il...") e le patrie melodie ("Non ti scordar di me"), né Bach e altro ancora, con appena un paio di temi autocomposti, uno a testa.
Come si sarà facilmente inteso, il concerto, molto ispirato, si è mosso quindi circumnavigando e lambendo (nonché blandendo) il canto nella sua più vasta accezione, cosa del resto cara (e usuale) sia per Fresu che per Di Bonaventura, il tutto sempre con estremo buon gusto e senso del particolare inserito nel totale. Ovviamente molto caloroso il consenso finale degli astanti.
Con la terza serata s'inaugurava la tranche finale della rassegna al Giacosa di Ivrea, con un concerto legato al recente CD Gabbia di Marta Raviglia, voce, pianoforte, elettronica, e Massimo Barbiero, batteria e percussioni, nello specifico coadiuvati da due danzatrici, Francesca Cola e Giulia Ceolin, la cui presenza ha ovviamente condotto la performance su sentieri altri rispetto al disco, a conti fatti anche nel tono strettamente musicale, che è parso più secco, perentorio, sempre di marcata suggestione. Estremamente conciso, anche, non oltrepassando la mezz'ora, in quasi crudele contrasto con chi ha guadagnato il palco a seguire, Antonello Salis e Hamid Drake, il cui set si è per contro protratto oltre il dovuto.
I due musicisti, il cui incontro giustificava legittime aspettative, hanno infatti inanellato una sequenza praticamente ininterrotta (se non dall'unico cambio di strumento operato da Salis fra piano e fisarmonica, più una breve parentesi con Drake al tamburo) in cui lo spesso torrido deambulare di Salis faceva agognare oasi di decongestione quasi sempre disattese, col batterista americano che è parso qua e là brancolare pure lui nel buio circa gli sviluppi/approdi che il suo dirimpettaio avrebbe dischiuso alla performance, in cui non sono mancati momenti felici (specie nella sezione pianistica), ma rivelatasi alla fine piuttosto farraginosa, ovviamente prolissa, troppo univocamente muscolare in tutta la seconda, estenuante sezione.
Chiusura per contro in gloria, è il caso di dirlo, con gli Oregon, che sempre al Giacosa hanno coperto l'intera serata di commiato, mostrando una volta di più quanto il buon gusto e un occhio sempre sufficientemente personalizzato, certamente riconoscibile, possano tener lontani dalle secche della routine anche dopo un'attività ultraquarantennale (il loro primo album, Music of Another Present Era, risale al 1972).
Con i due guru del quartetto, Ralph Towner, chitarre, tastiere everrebbe da dire soprattuttocomposizione, e Paul McCandless, più o meno equamente divisosi tra la bellezza di sei strumenti, a dettare le coordinate (le dinamiche) del concerto, a loro volta Glenn Moore (lui pure membro fondatore) al contrabbasso e più ancora Mark Walker (in organico dal '96) alla batteria hanno fornito il loro bravo contributo a una musica fortemente corale, fluida, coesa, ora più rilassata e cantabile, ora maggiormente spinta lungo sentieri anche accidentati.
Nessuno (almeno a colpo d'occhio) si è sognato di alzarsi da posto allorché i quattro hanno dichiarato chiuso il concerto, ottenendo un primo bis e poi anche un secondo, a suggello di una serata che rimarrà certo nella memoria degli aficionados del festival canavesano. Che ora aspettiamo ovviamente nella consueta mise autunnale.
Foto
Alberto Bazzurro
Il trittico centrale del festival dedicato al duetto è partito la seconda sera a Banchette, in una Sala Pinchia esaurita da giorni, con Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura, il primo rivolto (come del resto gli accade da un po') più al flicorno che alla tromba, il secondo votato unicamente al bandoneon, su cui del resto eccelle. Fresu ci ha tenuto subito a precisare che comunque, a scanso di equivoci, non avrebbero suonato tango né musica argentina in genere, proprio mentre al suo coéquipier "scappavano" schegge di "Libertango..." Si è passato in effetti in rassegna parecchio Sudamerica, Uruguay, Cile ("El pueblo unido" degli Inti Illimani, "Te recuerdo Amanda" di Victor Jara) e Brasile (Jobim, "O que serà" di Chico Buarque), senza dimenticare la Francia di Trenet ("Que reste-t-il...") e le patrie melodie ("Non ti scordar di me"), né Bach e altro ancora, con appena un paio di temi autocomposti, uno a testa.
Come si sarà facilmente inteso, il concerto, molto ispirato, si è mosso quindi circumnavigando e lambendo (nonché blandendo) il canto nella sua più vasta accezione, cosa del resto cara (e usuale) sia per Fresu che per Di Bonaventura, il tutto sempre con estremo buon gusto e senso del particolare inserito nel totale. Ovviamente molto caloroso il consenso finale degli astanti.
Con la terza serata s'inaugurava la tranche finale della rassegna al Giacosa di Ivrea, con un concerto legato al recente CD Gabbia di Marta Raviglia, voce, pianoforte, elettronica, e Massimo Barbiero, batteria e percussioni, nello specifico coadiuvati da due danzatrici, Francesca Cola e Giulia Ceolin, la cui presenza ha ovviamente condotto la performance su sentieri altri rispetto al disco, a conti fatti anche nel tono strettamente musicale, che è parso più secco, perentorio, sempre di marcata suggestione. Estremamente conciso, anche, non oltrepassando la mezz'ora, in quasi crudele contrasto con chi ha guadagnato il palco a seguire, Antonello Salis e Hamid Drake, il cui set si è per contro protratto oltre il dovuto.
I due musicisti, il cui incontro giustificava legittime aspettative, hanno infatti inanellato una sequenza praticamente ininterrotta (se non dall'unico cambio di strumento operato da Salis fra piano e fisarmonica, più una breve parentesi con Drake al tamburo) in cui lo spesso torrido deambulare di Salis faceva agognare oasi di decongestione quasi sempre disattese, col batterista americano che è parso qua e là brancolare pure lui nel buio circa gli sviluppi/approdi che il suo dirimpettaio avrebbe dischiuso alla performance, in cui non sono mancati momenti felici (specie nella sezione pianistica), ma rivelatasi alla fine piuttosto farraginosa, ovviamente prolissa, troppo univocamente muscolare in tutta la seconda, estenuante sezione.
Chiusura per contro in gloria, è il caso di dirlo, con gli Oregon, che sempre al Giacosa hanno coperto l'intera serata di commiato, mostrando una volta di più quanto il buon gusto e un occhio sempre sufficientemente personalizzato, certamente riconoscibile, possano tener lontani dalle secche della routine anche dopo un'attività ultraquarantennale (il loro primo album, Music of Another Present Era, risale al 1972).
Con i due guru del quartetto, Ralph Towner, chitarre, tastiere everrebbe da dire soprattuttocomposizione, e Paul McCandless, più o meno equamente divisosi tra la bellezza di sei strumenti, a dettare le coordinate (le dinamiche) del concerto, a loro volta Glenn Moore (lui pure membro fondatore) al contrabbasso e più ancora Mark Walker (in organico dal '96) alla batteria hanno fornito il loro bravo contributo a una musica fortemente corale, fluida, coesa, ora più rilassata e cantabile, ora maggiormente spinta lungo sentieri anche accidentati.
Nessuno (almeno a colpo d'occhio) si è sognato di alzarsi da posto allorché i quattro hanno dichiarato chiuso il concerto, ottenendo un primo bis e poi anche un secondo, a suggello di una serata che rimarrà certo nella memoria degli aficionados del festival canavesano. Che ora aspettiamo ovviamente nella consueta mise autunnale.
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Alberto Bazzurro
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Instrument: Band / ensemble / orchestra
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