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Metastasio Jazz 2015

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Metastasio Jazz
Teatri Politeama, Metastasio e Fabbricone, Scuola di musica G. Verdi
29.01-17.02.2015

L'edizione del ventennale del festival pratese Metastasio Jazz ha visto come sempre un programma intenso e selezionatissimo, apertosi al Teatro Politeama il 29 gennaio con un evento speciale: il progetto che univa il quintetto di Enrico Rava con la Camerata Strumentale Città di Prato diretta da Paolo Silvestri.

La classica serie dei tre concerti del lunedì sera è poi iniziata il 9 febbraio al Teatro Metastasio con il quartetto Heroics di Craig Taborn, pianista e compositore oggi tra i più quotati a livello internazionale. Della formazione fanno parte musicisti di altissimo livello quali Chris Speed, Dave King (il batterista dei Bad Plus) e Chris Lightcap, che nel concerto pratese non hanno smentito la loro fama.

Heroics sviluppa una musica complessa dal punto di vista dei ritmi -spesso irregolari -e dell'evoluzione frammentaria, dinamicamente e timbricamente variabile, scoppiettante. Un contesto nel quale emergevano particolarmente Taborn—assai convincente quando libero di esprimersi a piacere al piano, ove è capace di attingere alla tradizione per metterla al servizio di un progetto fin troppo "contemporaneo," ma anche misurato dispensatore di elettronica alle tastiere—e King—vero anello di raccordo del quartetto, cangiante e variopinto, forse a Prato il più brillante dei quattro.

In un concerto stimolante per la continua sollecitazione dell'ascoltatore e interessante perché personale interpretazione di una modalità compositiva oggi molto diffusa, sono parse tuttavia emergere alcune ridondanze e inconcludenze, forse peraltro volute, che suscitavano perplessità proprio riguardo allo "stile" così frequentato.

Domenica 9, presso la scuola di musica Giuseppe Verdi, si è svolto il concerto-aperitivo di Fabrizio Puglisi che, in piano solo, ha celebrato il centenario di Billy Strayhorn. In programma, pertanto, prevalentemente brani del pianista e compositore "braccio destro" di Duke Ellington, ma interpretati à la Puglisi, vale a dire con i temi che apparivano e scomparivano tra rumori delle corde, percussioni sui tasti, lavoro diretto sulle corde e frasi improvvisate nelle pieghe delle composizioni originali. Particolarmente intense e di grande suggestione alcune parti introdotte dal pianoforte preparato suonato dall'interno e poi eseguite con oggetti che risuonavano sulle corde. Come in altre occasioni, il pianista ha poi attivato i suoi "giocattoli" a carillon e ha suonato "con loro." Un gioco teatrale non privo però di risvolti performativi sulla musica, che complessivamente è risultata estremamente coinvolgente.

Il giorno successivo i concerti del lunedì si sono temporaneamente spostati al Teatro Fabbricone, location delle rappresentazioni teatrali contemporanee, per ospitare la proposta dinamicamente più intensa del programma del festival: il quintetto italo-danese On Dog, guidato da Francesco Bigoni e Mark Solborg. Una formazione che ha già alle spalle due album—usciti assieme nel 2013 per la ILK Music e volutamente diversi—e che deriva il suo curioso nome dall'anagramma di "Dogon," titolo dello storico brano (e album) di Julius Hemphill, musicista a cui la musica deve molto.

Il gruppo, che include Piero Bittolo Bon e Beppe Scardino ai sax e Mark Lohr alla batteria, esprime infatti una musica estremamente complessa, priva di temi e melodie, dalle forme aperte e ricca di mutamenti ritmici e dinamici. Stilemi non molto dissimili da quelli del quartetto di Taborn (anche i musicisti di riferimento non sono poi diversi), ma i cui esiti sono stati in realtà ben altri: atmosfere più coerenti, sonorità più nitide, dettagli maggiormente evidenziati, senso della tessitura meglio percepibile. Il tutto forse pagato con un po' meno brillantezza e un colore maggiormente cameristico, cose che però non diminuivano l'impressione che l'Europa non abbia nulla, ma proprio nulla da invidiare agli States.

L'ultima data, il 17 febbraio, vedeva di scena il quartetto di Ravi Coltrane, con l'emergente David Virelles al pianoforte, Dezron Douglas al contrabbasso e Jonathan Blake alla batteria. Gruppo notevole sia per le individualità, sia per il progetto musicale, ben diverso da quelli precedenti: maggiormente radicato nella tradizione e più vicino alle strutture chiuse, ma non per questo arcaico o sorpassato. Come dimostrato dall'avvio, positivamente astratto ed evocativo, con Coltrane al sopranino e, nel prosieguo, con interventi "trascendentali" di Virelles e Blake. Atmosfere che, nel seguito del concerto, sono invero apparse solo a momenti, sovrastate da composizioni più prossime alla ballad o da standard (mai banali, peraltro, come nel caso di "For Tutaya" di Charlie Haden, omaggio al contrabbassista scomparso lo scorso anno, che la compose per suonarla con la madre di Ravi, Alice Coltrane), tuttavia capaci di contribuire a non appiattire la proposta.

Un concerto che ha confermato il livello raggiunto da Coltrane, che certo non ha la statura artistica del padre, ma che oggi ha messo via il peso di cotanta eredità e si muove enciclopedicamente con grande professionalità in molteplici territori del jazz, sintetizzandoli molto bene. Un concerto per questo adatto a tutti i palati—molti, visto il pienone del teatro—che infatti hanno, da diverse prospettive, assai apprezzato la performance.

Da notare che, in occasione del ventennale, in teatro era stata allestita una piccola, ma ricca e gustosissima mostra di ricordi storici che andavano anche molto aldilà dell'epoca del festival e includevano interessanti perle, quali foto, locandine e persino contratti manoscritti relativi a concerti svoltisi al Metastasio fin dagli anni Sessanta con artisti come Duke Ellington, Sun Ra e Thelonious Monk, solo per citare alcuni dei più noti.

Foto (di repertorio)
Dave Kaufman.

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