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Mario De Vega

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Area Sismica - Forlì - 28.10.2012

Mario De Vega è uno dei nuovi protagonisti della scena elettroacustica internazionale. Il suo nome ha cominciato a circolare di frequente in quest'ultimo anno ed è stato ospite in alcuni importanti festival europei non solo della scena elettronica, ma anche di quella improvvisativa.

Per le sue creazioni musicali De Vega usa il tipico armamentario dei musicisti elettroacustici: oggetti amplificati, dispositivi elettrici modificati o autocostruiti, computer, controller elettronici, giradischi ecc., e in qualche occasione anche la chitarra elettrica.

Il nome di Otomo Yoshihide è senz'altro presente fra le influenze di De Vega, anche se si tratta più di un'ispirazione per così dire "operativa" che non strettamente stilistica. Inoltre l'approccio di De Vega non è strettamente musicale, ma multimediale, in quanto è interessato, oltre alle performance e alle audioinstallazioni, anche all'aspetto concettuale della produzione e della performance artistica, oltre ad essere attivo anche nel campo delle arti plastiche.

Il corpo del concerto è stato costituito da un pezzo unico di una mezz'ora di durata. De Vega è partito dall'uso di suoni triviali di oggetti "trovati," costruendo poi gradualmente una ricca texture composta di varie fonti sonore, ronzii elettronici, rumori, suoni concreti, campionamenti rielaborati in tempo reale, eccetera.

Dal punto di vista strutturale e compositivo, l'elemento più notevole di questa composizione istantanea era il gioco che veniva creato tra sonorità in primo piano e sonorità sullo sfondo.

Lo sfondo era un tappeto continuo, fluido, (e)statico, che comunicava una sensazione di fissità, ma che evolveva con sviluppi e modificazioni molto lente e graduali, con un uso indovinato delle dinamiche e delle durate. Erano suoni elettronici, accordi tenuti con sonorità liquide, che lentamente si gonfiavano e trapassavano in rumore, per poi risvuotarsi e ricominciare il ciclo, in un movimento pulsante. L'atmosfera evocata era molto affascinante, un misto di celeste e di inquietante, collocato in una regione di mezzo indefinibile tra cielo e terra.

Su questo sfondo solido ma al contempo fluido si agitavano i suoni in primo piano, più secchi e dinamici, suoni di fonte varia, sia concreti sia elettronici, alcuni esili e sottili, altri aspri rumorosi.

Questo contrasto fra figure in primo piano e sfondo faceva pensare quasi ad alcune concezioni buddhiste orientali, in cui l'ineffabile essenza cosmica, fondamento e sostanza ultima di tutte le cose, è lo sfondo invisibile e nascosto allo sguardo incapace di penetrare l'essenza ultima delle cose, su cui si agita incessantemente la realtà comune degli oggetti, fatta di un continuo moto di divenire, sorgere e trapassare.

I due bis che De Vega ha concesso sono stati meno poetici e affascinanti della performance centrale del concerto, ma non privi di efficacia e di momenti d'effetto, in particolare per l'uso del feedback in modo creativo secondo lo stile di Otomo Yoshihide.

De Vega forse non porta elementi particolarmente innovativi al genere della musica elettroacustica, ma sicuramente ha uno stile personale e non privo di elementi affascinanti.

Foto di Claudio Casanova.


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Gongfarmer 36

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