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Südtirol Altoadige Jazz Festival 2014

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Südtirol Altoadige Jazz Festival 2014
Bolzano e provincia
27.06-08.07.2014

Non sono certo mancati i progetti estremi ed esclusivi in questa edizione del Südtirol Altoadige Jazz Festival: su tutti la performance di scalatori belgi sulla parete Est del Sassolungo, fra suoni e battiti cardiaci amplificati in diretta, includendo anche l'imponderabilità degli agenti atmosferici. Chi vi ha assistito ha riferito che l'inedito esperimento ha toccato momenti emozionanti.
Per quanto riguarda la programmazione musicale, le scelte del direttore artistico Klaus Widmann si sono rivolte prevalentemente all'odierna scena francese. Si sono evitati però i nomi ormai famosi a livello internazionale per puntare piuttosto su esponenti giovani, poco o per nulla noti in Italia, accomunati da un alto grado di ricerca sperimentale. Si è quindi dipanata una sorta di campionario di proposte interessanti, lontane tanto dal mainstream quanto dalla improvvisazione radicale, per nulla compromesse con l'etnojazz più risaputo o con le esperienze esasperatamente cameristiche.

Scelta coraggiosa quindi, che si è potuta realizzare felicemente grazie alla concreta collaborazione con associazioni e istituti di cultura francesi, tesi alla promozione dei propri artisti all'estero. Prassi invidiabile, che viene sistematicamente attuata anche in altri Paesi europei (ad esempio la Norvegia), ma della quale non possono usufruire i jazzisti italiani; per loro questo rimane purtroppo un traguardo utopico, forse irraggiungibile anche in futuro.
Le prime cinque giornate del festival, che ha ribadito la sua vocazione a una diffusione territoriale, toccando varie località della provincia di Bolzano, hanno visto fra gli altri gruppi la presenza, in vari contesti, del fisarmonicista Vincent Peirani: la rivelazione della scorsa edizione, che oggi è ormai una stella affermata. Nella presente recensione puntiamo invece i riflettori su alcune delle compagini che sono state presentate, soprattutto nel capoluogo di provincia, negli ultimi cinque giorni di programmazione.

Radiation 10, una delle formazioni del collettivo parigino Coax presentate al festival, è un nonetto paritario nato nel 2006. Nel concerto bolzanino di questo gruppo laboratoriale di trentenni si è transitati gradualmente da situazioni informali, caratterizzate da un free dilatato e astratto, a parti in cui i temi melodici e le cadenze ritmiche erano l'espressione di una sensibilità più attuale. Momenti di tonica determinazione si sono alternati dunque ad altri di sfrangiata prolissità. Strano, perché la musica contenuta in Bossa/Super/Nova, il loro CD inciso nel 2013 e autoprodotto per la propria Coax Records, risulta molto originale, costantemente motivata e di impatto decisamente più forte.

L'affiatato trio Metal-O-Phone, un'altra emanazione del Coax, coniuga le sonorità distorte del contrabbasso di Joachim Florent e del vibrafono di Benjamin Flament con il drumming sferragliante di Elie Duris. La formazione, che ha già all'attivo due CD, ha indubbiamente rivelato una grande compattezza e un'identità spiccata: il suo caratteristico sound riverberante e scuro ha sostenuto progressioni di tensione e dilatati effetti narrativi, di sapore ora ambient, ora esotizzante, ora di coriacea consistenza.

Il chitarrista Julien Desprez, anch'egli aderente al Coax, nella sua solo performance "Acapulco" ha rifiutato qualsiasi riferimento al fraseggio della tradizione chitarristica jazz o rock, impegnandosi in una sperimentazione estrema e rumoristica, in cui sono risultate dominanti la dimensione gestuale e la compenetrazione fisica fra l'improvvisatore e il suo strumento. Desprez ha usato la chitarra e i vari filtri elettronici come generatori di suoni anomali e tellurici, dando l'impressione di voler trasfigurare e organizzare i rumori di un'industria siderurgica: colpi metallici e stridenti, ronzii persistenti, riverberi, crepitii... Ne è risultata una musica concreta, dall'impatto diretto, anche se forse non particolarmente attuale.

Il pomeriggio seguente, sempre nelle sale del Museion, alla sperimentazione di Desprez ha fatto riscontro il solo della chitarra basso di Fanny Lasfargues. Anche in questo caso nessuna continuità con la tradizione canonica dello strumento. Fronteggiata dall'allestimento dell'artista Tatiana Trouvé, dimostrazione di quanto le tecnologie nuove dell'arte contemporanea di stampo neoconcettuale possano suscitare emozioni inedite e forti, la bassista ha utilizzato a sua volta le opportunità dell'elettronica per ottenere, rispetto a Desprez, insistenze più minimaliste e inflessioni incantatorie, primordiali e avveniristiche al tempo stesso, proiettate negli spazi siderali.

Rispetto alla Radiation 10, un'altra larga formazione di quindici elementi, la Ping Machine, non aderente al Coax e attiva dal 2004 sotto la direzione del chitarrista Frédéric Maurin, ha rivelato una maggiore continuità e una più solida compattezza. Nei lunghi brani composti dal leader ha preso corpo una concezione jazzistica aggiornata senza essere estrema, in equilibrio fra efficace concretezza e visionarietà. Gli elaborati arrangiamenti, con soluzioni a tratti quasi da big band mainstream, hanno ben organizzato gli sviluppi tematici, i densi collettivi e i passaggi sfumati, lasciando emergere apprezzabili spunti solistici di vari membri dell'orchestra.

La vera rivelazione del festival altoatesino è stata però il quartetto Big Four, i cui membri fanno parte anche della Ping Machine. Oltre alla pronuncia dagli spigoli vivi del contraltista Julien Soro, che l'ha costituita nel 2008, l'anomala formazione comprende il sousafono di Fabienne Debellefontain, dall'emissione rotonda e vociante, il vibrafono limpidamente puntiglioso di Stephan Caracci e la batteria di Rafael Koemer, impegnata a tessere metriche perentorie. Nell'affrontare un repertorio di grande coerenza e attualità, comprendente prevalentemente brani propri ma anche di altri autori (per esempio John Hollenbeck) i quattro coetanei hanno dimostrato un'esemplare comunione d'intenti, tesa a perseguire una narrazione movimentata e conseguente, dall'affascinante varietà timbrica e dall'ineludibile incisività dinamica.

A volte le location che hanno ospitato i concerti (hotel o rifugi alpini) sono risultati poco consoni al livello sperimentale delle proposte. Si è trattato comunque di una scelta coraggiosa, tesa a spiazzare la audience occasionale, fornendo stimoli anomali di ascolto. È stato il caso della cantante Leila Martial, che, con il suo quartetto Baa Box, si è esibita al rifugio Feltuner Hütte all'Alpe di Renon, a duemila metri di quota, senza riuscire ad evitare le insidie della pioggia. Le acrobazie vocali della Martial, oscillanti fra citazioni letterarie, sofisticati melismi e situazioni ritmiche più marcate, avrebbero certo tratto maggior giovamento dalla concentrazione di uno spazio chiuso e raccolto.

Le ultime due serate del festival, quasi in contrapposizione alle presenze fin qui recensite, sono state dedicate a jazzisti americani di maggior richiamo e la risposta del pubblico è stata conseguente.
Il trio Now vs Now del tastierista Jason Lindner è completato dall'energico batterista Justin Tyson e dal bassista elettrico greco Andreou Panagiotis, che si è prodotto anche negli scanditi vocalizzi della tradizione indiana carnatica. I tre hanno profuso un funky—hip hop estroverso e plateale: una performance piacevole la loro, in cui l'efficienza professionale non ha escluso il ricorso a effetti facili e prevedibili. L'ingresso in scena del rapper Baba Israel, a metà concerto, ha introdotto un ulteriore incrocio di culture, una più finalizzata concisione ritmica, un'esplicita, declamatoria dimensione rituale, comportando in definitiva una comunicativa più mirata e convincente.

La conclusione del Südtirol Altoadige Jazz Festival 2014 è stata affidata al duo Chick CoreaStanley Clarke, che si è esibito in un capannone industriale della Leitner Group a Vipiteno, uno spazio tanto anomalo quanto rivelatosi negli anni ideale per acustica, capienza e audience.
Con un balzo indietro di quarant'anni essi hanno rivisitato proprie hit del periodo Return to Forever, ma si sono rivolti anche a composizioni di Bill Evans e di Alexander Scriabin. In un rapporto di distesa empatia Corea e Clarke hanno elargito classe e divertimento; il sound pieno e il drive sicuro non hanno evitato un'enfasi un po' troppo barocca e una comunicativa esplicita... ma d'altra parte anche queste componenti fanno parte da sempre del loro mondo espressivo... e il pubblico ha dimostrato di gradire.

Foto
Günther Pichler

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