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Intervista ad Algoritmo Ensemble. Conversazione con Marco Angius.

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rispondo con le parole di Fausto Melotti: «L'artista non conosce ancora la seconda parola della sua poesia, non sa se al do segue il re fra le righe o il fa sopracuto, né se l'azzurro muore o si esalta. L'arte sorride a chi ride delle cose ingiustificate»
L'ensemble Algoritmo è stato fondato da Marco Angius nel 2002 grazie all'adesione di giovani musicisti dediti per vocazione alla musica contemporanea e già affermati sulla scena internazionale. Le scelte musicali del gruppo comprendono opere capitali del nostro tempo e nuove esplorazioni sonore, privilegiando un rapporto di confronto continuativo con alcuni tra i maggiori compositori d'oggi. La formazione coltiva repertori e programmi concertistico - discografici che mirano alla definizione di un proprio riconoscibile suono, accanto ad una costante ricerca di inediti quanto articolati universi compositivi. A questa posizione estremamente selettiva, si è accompagnato un approccio esecutivo peculiare, rivelatosi in alcune performance spettacolari e memorabili come la doppia partecipazione alla Gaudeamus International Competition di Amsterdam 2005 (presso il nuovo Muziekgebouw/Bimhuis della capitale olandese), nella Begleitmusik zu einer Dichtspielszene di Giorgio Battistelli o in Laborintus ll di Berio al Parco della Musica di Roma, Quaderno di strada di Sciarrino presso il Warsaw Autumn Festival 2006 e NYYD di Tallinn (2007).

All About Jazz Italy: Cominciamo dalla domanda più banale: cos'è per te un ensemble?

Algoritmo Ensemble: È la possibilità ideale di far musica perché consente un affinamento del suono e della concertazione a diretto contatto coi singoli musicisti. Proprio da un'esperienza cameristica di lungo corso ho imparato meglio il mio lavoro. Penso, in un questo senso, che si apprenda molto studiando l'atteggiamento di chi suona e ciò vale anche per i compositori: Petrassi invitava i suoi allievi a osservare attentamente i gesti dell'interprete. Affrontando partiture molto complesse nel repertorio d'ensemble, ho potuto sviluppare i frutti di queste esperienze ed estenderli anche a compagini orchestrali più ampie.

AAJ: Hai voglia di raccontare ai lettori di All About Jazz come, quando e dove si è formato il vostro Ensemble?

A.E.: Algoritmo ha esordito a Roma nell'ambito del RomaEuropa Festival nel 2002. Si trattava di un concerto organizzato da Nuova Consonanza in occasione di un master tenuto da Ivan Fedele a Villa Medici (De Musica).

AAJ: Quali sono le ragioni del nome che avete scelto?

A.E.: L'ensemble doveva inizialmente chiamarsi Resistenze, in opposizione alle forme di consumismo musicale corrente e a un'idea di musica come intrattenimento disimpegnato e semplificato. Algoritmo fu sicuramente più felice come intuizione. Spesso si rinfaccia alla musica contemporanea, come all'arte contemporanea in genere, un eccesso di astrusità, reclamando contenuti alla portata di tutti e immolando la ricchezza del pensiero creativo al marketing di una soddisfazione immediata e facile facile. A questa posizione, che del resto va per la maggiore, rispondo con le parole di Fausto Melotti: «L'artista non conosce ancora la seconda parola della sua poesia, non sa se al do segue il re fra le righe o il fa sopracuto, né se l'azzurro muore o si esalta. L'arte sorride a chi ride delle cose ingiustificate». In Italia la musica contemporanea di ricerca rappresenta un genere d'importazione (praticamente fin da quando è approdata la dodecafonia) e, nonostante la presenza di compositori di levatura internazionale, si fatica a riconoscere ciò che altrove viene accolto con entusiasmo e interesse. Soffriamo ancora oggi di un complesso d'inferiorità verso l'estero e tendiamo a svalutarci come abitanti di un sud-Europa senza speranza.

AAJ: I presupposti che vi hanno portato a unirvi sono gli stessi sui quali ancora oggi basate il vostro legame?

A.E.: Certamente. Alla base vi è un criterio d'orientamento che tende a privilegiare rapporti continuativi con alcuni compositori coi quali sentiamo un particolare afflato. Poi ci sono le esplorazioni con decine di giovani che presentiamo ogni anno. Ricordo che al concorso di composizione bandito dall'Accademia di Santa Cecilia nel 2009 eseguimmo sedici nuove composizioni in un solo giorno, dal trio alla compagine orchestrale multipla e spazializzata...

Abbiamo sempre puntato a differenziare i programmi cercando di esaltare i punti di forza dell'ensemble, vista anche la presenza di solisti di levatura internazionale come Mario Caroli, Roberta Gottardi, Ciro Longobardi, Marco Rogliano (per non citare che i fondatori e i principali animatori) riuniti intorno a progetti che porto avanti come direttore musicale e artistico. Fino a oggi sono transitati oltre settanta musicisti nell'ensemble. È un criterio di circolarità indispensabile per arricchire il repertorio e rinnovare dall'interno il percorso del gruppo.

AAJ: Per quanto riguarda il repertorio, come scegliete i brani e come lavorate per l'esecuzione...magari potete raccontarlo a partire da un progetto che avete realizzato che vi sta particolarmente a cuore.

A.E.: Inizialmente le scelte di repertorio si orientavano in direzioni stilistiche anche opposte, per individuare gli ambiti più connotativi del gruppo. D'altra parte, come studioso e interprete, sono molto interessato all'esplorazione del recente passato oltre che alla scoperta di figure presenti. Penso, ad esempio, che ci sia ancora molto da rileggere nella produzione italiana degli anni '50 e '60. Nel 2003, ad esempio, ci fu l'omaggio a Berio con Laborintus II in diretta Euroradio. Fu una grande occasione e un momento fondamentale di lancio dell'ensemble. Berio era scomparso da poco e avevo potuto incontrarlo solo prima di quell'occasione (che poi si è rivelata purtroppo anche l'unica). Proposi anche Canticum novissimi testamenti e la prima Improvisation di Boulez.

AAJ: Che cosa vi interessa maggiormente mettere in luce della musica del Novecento? Quali sono gli aspetti sui quali voi come Ensemble ritenete di dover maggiormente lavorare?

A.E.: Ci siamo sempre concentrati sulla musica italiana. Dovendo distillare energie, soprattutto in momenti storici così difficili, credo sia importante cimentarsi in letture innovative e di riferimento sia in ambito concertistico che discografico piuttosto che calcare orme preesistenti. Gli aspetti centrali riguardano il che si riesce a. Per trasmettere all'ascoltatore il necessario grado di coinvolgimento e chiarezza, l'interprete deve disporre di una massima libertà d'azione, cioè operare scelte musicali che coincidono, in fondo, con l'essere artisti.

Chi sostiene che basta (e)seguire ciò che è scritto è a corto d'idee oppure confonde il compito scolastico con la creatività che fa vivere e riscoprire un'opera (non a caso Celibidache notava che l'opera non esiste in sé ma vive solo all'atto in cui la si esegue e che si tratta di un atto sempre irripetibile, fortunatamente). Tra la scrittura e il suono corre un abisso spazio-temporale che si chiama interpretazione. Una composizione musicale è qualcosa di assai prossimo a un enigma; essa si presenta distesa sulla partitura, imprigionata in una rete di segni e di aperture agogiche che spetta all'interprete svelare e illuminare mentre, secondo Blanchot, «chi scrive l'opera è messo in disparte. Chi l'ha scritta è congedato. Colui che è congedato, inoltre, non lo sa...».

AAJ: Il suono è al centro della vostra ricerca. Cosa significa?

A.E.: Amplifico la sua domanda: cosa s'intende per suono? Naturalmente la risposta è molteplice. Il suono è una meta che si mette a fuoco con scelte di tempo, di fraseggio, di strumentisti ideali e che si può ascoltare in uno spazio che esalta o attenua certe caratteristiche. Definire un proprio riconoscibile suono significa firmare un'interpretazione e lasciare tracce per altri interpreti e ascoltatori. Uno dei più bei complimenti che si possano ricevere è l'esser riconosciuti solo dall'esecuzione (per esempio alla radio o in disco). D'altra parte l'aspetto esecutivo e quello discografico sono correlati quanto distinti perché si tende a incidere ciò che si è presentato in pubblico sebbene il prodotto discografico conduce a un altro tipo di rapporto con l'opera, al tempo stesso più oggettivo (perché manca la spettacolarizzazione visiva della performance) e artificiale (perché frutto di un montaggio calcolato, qualora non si tratti di un live: ma anche in quel caso l'ascolto dal vivo costituisce ben altra dimensione).

AAJ: L'improvvisazione è una pratica del vostro fare musica insieme? Nel caso, come avviene e quanto peso ha nel vostro lavoro?

A.E.: L'improvvisazione nella musica contemporanea è un vasto e articolato capitolo che ha suscitato dibattiti accesi e un interesse molto innovativo (in particolare nell'improvvisazione scritta). Anche se Algoritmo non si è dedicato specificamente a questa ricerca, capita di dover lavorare su parametri improvvisativi di partiture storiche (Guaccero, Evangelisti, per esempio, ma anche Berio e Cage) esplorando il legame tra segno e prassi esecutiva. E' senz'altro una pratica che migliora l'intesa dei vari componenti stimolando una ricerca incessante di soluzioni musicali.

AAJ: Essendo All About Jazz una rivista dedicata al Jazz, quanto pensate il vostro lavoro abbia a che fare con questo genere? Che cosa vi interessa in particolare del jazz?

A.E.: Come per l'improvvisazione, l'ambito della musica contemporanea tende a sondare alcune problematiche che s'instaurano nell'interazione con altri generi. Con il jazz in modo elettivo, direi. Penso anche alla pratica esercitata da alcuni compositori in prima persona (Stockhausen stesso, in gioventù). Vorrei citare il caso di alcune opere di Donatoni che abbiamo proposto qualche anno fa, come Hot e Rasch, che esplorano in modo personale e variegato il rapporto col Jazz. Anche Kreuzspiel di Stockhausen, che abbiamo proposto in diverse occasioni, presenta dei colori e caratteri jazzistici in alcune sue parti, pur essendo in genere collocato in ambiti post-seriali (ma questo è un aspetto che riguarda semmai l'elaborazione costruttiva del pezzo e non il suo sound).

AAJ: Portate avanti un lavoro teorico (letture, discussioni sulla metodologia, studi o ricerche, seminari) a livello di Ensemble oppure la formazione e la ricerca sono un percorso individuale da condividere solo in un secondo momento insieme?

A.E.: Rispondo in modo più soggettivo essendo l'attività saggistica un aspetto integrante del mio essere interprete. Trovo necessario riflettere su quanto dirigo e talvolta questi approfondimenti si concretizzano in scritti di tipo musicologico. Quando è possibile, preferisco occuparmi personalmente del booklet di un disco o del programma di sala di un concerto per offrire una visione più organica e completa del mio orientamento. D'altra parte è una prassi quasi indispensabile nel repertorio contemporaneo perché vi sono margini di decifrazione e analisi assai più ampi che nel repertorio tradizionale e che non si esauriscono nella sola performance concertistica.

AAJ: Nei vostri concerti eseguite autori contemporanei. Come costruite un concerto e attorno a quali aspetti puntate maggiormente?

A.E.: Come dicevo prima, c'è un forte interesse a collaborare con compositori viventi e, d'altra parte, di valorizzare al massimo il nostro patrimonio nazionale, sia storico che contemporaneo E' stato un principio costitutivo e aggregativo di Algoritmo. Non sempre è possibile scegliere gli autori perché il più delle volte la programmazione deve rispondere alle esigenze del tema di un determinato festival o manifestazione. Tendiamo in ogni caso a costruire un repertorio cioè ad eseguire più volte i medesimi lavori per consolidare i legami con determinati compositori e approfondire lo studio di opere che fanno crescere l'ensemble.

AAJ: Il pubblico è importante? E in che forma, dimensione, misura...?

A.E.: Ci sono ovviamente diversi tipi di pubblico: quello dei concerti, quello che ascolta i dischi o naviga in rete, quello dei cosiddetti esperti del settore e via dicendo. Il pubblico dei concerti non va trattato solo come un corpo fono-assorbente che migliora l'acustica ma coinvolto come parte integrante del processo esecutivo. Per un artista, compositore o interprete che sia, il dramma e il nocciolo centrale della propria ricerca è proprio quello di avere degli interlocutori appropriati. Penso, come dicevo prima, che il rapporto col pubblico vada impostato in modo non opportunistico e trovo più che legittimo incontrare, se non i gusti, almeno l'interesse di chi ascolta senza con ciò rinnegare la natura di sperimentatori incalliti e rigorosi. Il pubblico generalmente è più neutrale di quanto si pensi e comunque nient'affatto prevenuto nei confronti della programmazione.

Dalla mia esperienza ritengo che esista un pubblico relativamente vasto - anche giovanile - che è attratto dalla musica contemporanea e dalle sue "stranezze". Ricordo un concerto per studenti di licei, a Roma, con Etwas ruhiger di Donatoni (1967), Kreuzspiel (1951) e Le marteau sans maître (1953-55). Alla fine i ragazzi erano colpiti dall'esistenza di persone e musiche di questo genere: avevano scoperto un mondo curioso e inesplorato. La musica contemporanea è un genere dalle forti potenzialità didattiche che la musica d'intrattenimento invece ignora perché concentrata solo sulla celebrazione del divo o su spregiudicate finalità commerciali.

AAJ: La vostra casa discografica di riferimento è ormai Stradivarius. Come lavorate con loro nella scelta del repertorio da pubblicare?

A.E.: Sono i partner ideali sia da un punto di vista artistico che umano. Certe volte il rapporto tra discografico e compositore vivente è problematico, ma quando sono convinto di un progetto tento di mediare tra comprensibili esigenze d'investimento e l'importanza della proposta. Non ci sono particolari vincoli o limiti nelle scelte artistiche. In ogni caso trovo che l'attività discografica sia fondamentale per la vita di un ensemble e anche un mezzo determinante per la sua promozione. In questo senso, se potessi, farei solo dischi e ho sempre investito molte energie in produzioni discografiche. Con Stradivarius sono in corso diversi progetti a partire da una collana dedicata a Sciarrino di cui Luci mie traditrici è stata la prima pietra e Le stagioni artificiali la seconda. Ora sono in arrivo Cantiere del poema e L'altro giardino, un pezzo che Sciarrino ha espressamente dedicato a noi nel 2009.

AAJ: Dal punto di vista economico, come avete provveduto fino ad ora a finanziare i vostri progetti? Quali margini di autonomia avete rispetto a chi vi sovvenziona?

A.E.: Mai avuto finanziamenti (!) e quindi la nostra autonomia è totale... Questo è un punto d'orgoglio, lavorando principalmente in Italia, ma anche dolente perché le spese maggiori riguardano gli aspetti logistici e infrastrutturali. Se i governanti capissero che con la cultura si producono ed esportano valori e immagini significative di un Paese che cambia, le cose andrebbero diversamente, come accade già all'estero con ensemble emergenti, talvolta di soli studenti, molto agguerriti e fortemente sostenuti dai governi centrali.

AAJ: Pensate che ci sia una politica in Italia attenta agli Ensemble e/o su cosa dovrebbe sostenere realtà come la vostra la politica (locale, nazionale?)?

A.E.: Non mi aspetto molto da una situazione come quella corrente perché mi sembra che ogni anno sia peggio del precedente da un punto di vista degli investimenti sulla cultura e sull'arte. Come dicevo prima, se i politici locali o nazionali si affidassero a consiglieri illuminati le cose cambierebbero e ciò potrebbe accadere quando i filosofi saranno al potere... «La cultura in quanto distinta dalla società», osservava Lacan, «non esiste». Il problema è che ormai si riduce ogni dimensione intellettiva alla sua funzionalità; anche l'Arte è stata fagocitata da una società onnivora che annulla le differenze e celebra lo spirito della ripetizione e della conformità comportamentale. Il contesto inghiotte sia il soggetto che l'oggetto dell'esperienza estetica. Quella che fino a poco tempo fa s'identificava come arte moderna e contemporanea si dissolve ora nelle pieghe di una società usa-e-getta che ammette l'espressione artistica solo nella sua dimensione commestibile ossia in quanto capace di farsi merce. Di fatto, le profezie di Benjamin e Adorno sul destino dell'arte contemporanea si sono avverate con precisione inesorabile.

AAJ: C'è un modello all'estero che a voi pare vincente a cui ispirasi oppure, al contrario, come avete impostato il vostro lavoro credete che possa essere di esempio oltr'alpe?

A.E.: Il confronto con l'estero è importante da ogni punto di vista. Nel caso di Algoritmo la formula è in realtà assai pragmatica e si è sempre basata sulla mia chiamata diretta di musicisti che hanno forti affinità e caratteristiche fuori del comune, musicisti con cui posso condividere dei percorsi accidentati, che credono nelle mie idee quanto io nella loro versatilità e talento. Naturalmente ho l'occasione di conoscere altre realtà e maturare nuovi orizzonti fuori dei confini nazionali. Ad Anversa sono direttore ospite dell'Hermes Ensemble e questa collaborazione, che dura da qualche anno, mi è senz'altro di esempio quando torno in Italia. Con loro ho appena riproposto La chute de la maison Usher di Fedele al Muziekgebouw di Amsterdam, una sala dove avevo esordito con Algoritmo nel 2005, compresa la sala più piccola dedicata al jazz e all'improvvisazione. Quest'ultima, detta Bimhuis, si trova incastrata in quella principale formando una sporgenza architettonica che si proietta sul circuito urbano (reso visibile od occultato da una vetrata panoramica sul fondo del palco). A breve mi attende il debutto con l'Ensemble Intercontemporain e ciò costituisce un banco di prova fondamentale per gli obiettivi che ho sempre perseguito e per gli ideali musicali cui mi sento votato.

AAJ: Entrando nel merito della vostra produzione. Inizierei da Osvaldo Coluccino: una scelta assolutamente unica, forte, di grande poesia, ma soprattutto materica.

A.E.: Ci siamo conosciuti alla Biennale di Venezia nel 2007 e ne è subito scaturito un disco (Voce d'orlo) in cui è presente anche il pezzo live di quel concerto ("Gamete stele"). Il cd (con una bellissima "pioggia" di Melotti in copertina) comprende lavori da camera che hanno anche ispirato dei cortometraggi intriganti. In quel disco ho peraltro diretto pezzi in duo e trio perché ritengo che nel repertorio contemporaneo il direttore rivesta un ruolo più esteso che nella musica classica, un ruolo che deve incrementare il livello di curiosità e comprensione suscitato da nuovi lavori.

AAJ: Vorrei tornare su un disco importantissimo per il vostro percorso, Mixtim di Ivan Fedele.

A.E.: Sono molto grato a Fedele per aver creduto e sostenuto sin da subito l'esperienza di Algoritmo. Abbiamo suonato Mixtim svariate volte e in diversi paesi prima d'inciderlo con altri lavori ("Arcipelago Möbius," "Notturno," "Giardino di giada II," "Profilo in eco") ricevendo il premio Amadeus nel 2007. "Mixtim," in particolare, è un pezzo che mi parlava prima ancora di conoscere il compositore e lui stesso, in un certo senso, lo ha riscoperto proprio grazie alla nostra (d)edizione. In seguito ho avuto modo di studiare e incidere altri suoi lavori; è una musica, quella di Fedele, che sembra non avere precedenti storici diretti e trovo che questo sia un connotato di forza del pensiero compositivo in quanto meno si è debitori col passato e più si hanno cose da dire e da estrarre dalla propria capacità inventiva. La musica di Fedele è complessa e al tempo stesso comunicativa, ha un suono molto riconoscibile, una forte capacità di coinvolgimento e mezzi impressionanti di elaborazione compositiva, rivelati anche nel teatro musicale con l'Antigone e con un'innovativa ricerca sulla vocalità; in un ampio saggio, appena pubblicato in inglese, ho analizzato la sua scrittura tecnologicamente avanzata tentando di definire gli aspetti più specifici del suo linguaggio sonoro. Non è certo un caso che Ivan Fedele sia uno dei compositori particolarmente ammirati ed eseguiti da Pierre Boulez.

AAJ: Un altro compositore imprescindibile (per il vostro percorso e per la musica contemporanea italiana) è Giorgio Battistelli. Lavorando sulle sue opere avete senz'altro dovuto fare i conti con il teatro musicale e la sua idea. Cosa ha voluto dire?

A.E.: Personalmente credo che il teatro musicale sia una frontiera cruciale e assai fertile per la musica contemporanea. Battistelli è senz'altro uno dei miei autori preferiti e con cui mi trovo più in sintonia. Non c'è bisogno che sia io a ricordare le sue straordinarie doti di fantasia e musicalità, il suo catalogo così ricco e sorprendente, l'attrazione che suscitano le sue invenzioni sonore e drammaturgiche. Ritrovo nelle sue partiture una rara plasticità dei gesti sonori e un'autenticità di pensiero che ammiro da molto tempo. Conosco la maggior parte delle sue opere e di alcune ho anche scritto dissertazioni analitiche. Credo che la distinzione tra drammaturgia e composizione musicale autonoma trovino nelle sue composizioni una sintesi stilistica ideale, dimensione del resto presente fin dalla sua prima celeberrima opera, Experimentum mundi. Con Algoritmo abbiamo eseguito Begleitmusik zu einer Dichtspielszene al Parco della Musica di Roma nel 2004. In quell'occasione feci costruire una saetta di oltre tre metri con catene e lastre metalliche collegate che si schiantavano al suolo collassando nel centro esatto delle sei scene, più due arenaiuoli con ghiaia e selci entro cui correvano i due percussionisti: la fine del concerto coincideva con la fine del parquet della Sala Petrassi...

AAJ: Vorrei ora chiedervi che interpretazione avete voluto dare a Luci mie traditrici di Sciarrino.

A.E.: Da tempo sentivo la necessità di realizzare una nuova lettura di Luci mie traditrici quando, nel 2009, venne l'invito dell'amico Detlev Glanert per una coproduzione tra l'Opera di Francoforte e il Cantiere di Montepulciano. Ritengo quest'impresa davvero singolare perché, come tutti sanno, il Cantiere non prevede cachet per i musicisti. Bene, la registrazione, uscita appunto per Stradivarius, ha ricevuto la nomination agli International Classical Music Awards 2012 e ne è scaturito anche un dvd con la regia di Giancarlo Matcovich per Euroarts. A proposito del disco, Andrew Clements ha così commentato su The Guardian: «Unlike its predecessors, though, this recording comes from stage performances and has a dimension of vivid theatricality that makes the others seem strait-laced in comparison». Senza dubbio, la presenza di Sciarrino nelle fasi di registrazione è stata determinante. Con lui ci conosciamo da quasi venticinque anni e ritengo un privilegio essere interprete e studioso assiduo della sua musica.

AAJ: Ricorre il centenario della nascita di John Cage e il ventennale della morte. Con l'Ensemble Prometeo hai inciso Imaginary landscapes. Hai voglia di tornare su questa registrazione, spiegandone senso, peculiarità, nuova idea del suono?

A.E.: In qualche modo Prometeo sviluppa la precedente esperienza di Algoritmo in una direzione elettroacustica più delineata. Ma non solo. Oltre Cage abbiamo già pronti Die Schachtel di Franco Evangelisti (con la supervisione musicale di Sciarrino) e il Pierrot lunaire (con la voce di Livia Rado) entrambi incisi negli ultimi due anni di attività. L'ensemble Prometeo è nato per volontà del compositore Martino Traversa di cui, con Algoritmo, ho già realizzato un disco per la Neos (


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