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Franco Ferrara: genio, dolore, ricerca. Rugginenti Editore

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Franco Ferrara: genio, dolore, ricerca.
Roberto Liso
pag. 592
ISBN: 978-88-766-5612-5
Rugginenti Editore
2014
Euro 48

Da qualche anno la migliore saggistica musicale passa attraverso le case editrici indipendenti. Emblematica è in tal senso questa biografia di Giuseppe Ferrara (1911-1985), genio musicale tra i più proteiformi del Novecento. Al fascino di questo libro non può sottrarsi il musicofilo che ama oltrepassare i rigidi steccati musicali, per (ri)scoprire un artista ingiustamente dimenticato dal mondo culturale di oggi.

Sono tante le storie mitizzate o leggendarie che hanno caratterizzato la vita dei grandi musicisti, ma quella di Ferrara è una delle più singolari. Sono leggendarie le sue cadute dal palco, accompagnate da una grave malattia nervosa che nel 1948 lo costrinse ad abbandonare l'attività di direttore d'orchestra in favore della composizione per il cinema e la televisione.

Attraverso le 591 pagine si compone un esaustivo ritratto dove l'attività di compositore, violinista, didatta e direttore d'orchestra si incrocia con la musica leggera ed audiottattile. Decisivo è per Ferrara l'incontro con il cinema, che lo portò a collaborare con registi del calibro di De Sica, Fellini, Visconti, Germi, Lattuada, Monicelli. Il suo apporto fu particolarmente rilevante come direttore d'orchestra o co-autore delle colonne sonore di capolavori quali "La Dolce Vita," "Il Gattopardo," "La Strada," "I Vitelloni," "Le notti di Cabiria," firmate da Nino Rota.

Pochi compositori italiani hanno saputo trascendere come lui l'idea di genere musicale, passando con disinvoltura dal mondo eurocolto al commento musicale di spaghetti western ("7 Winchester per un massacro"). Un musicista "tout court," la cui produzione è pervasa da echi popolari e gustosi rimandi a jazz e blues. A pagina 237 e 245 apprendiamo della sua incisione di "Parlami d'amore, Mariù" cantata da Vittorio De Sica e della sua partecipazione alla sesta edizione del Festival di Sanremo.

C'era anche qualcosa di jazzistico nella sua didattica, rivolta a fondere gli elementi tecnici con quelli interpretativi. Il fine era quello di far emergere una concezione della musica vista sia come gioco di forme che veicolo di emozioni e sentimenti. Dalla lettura del libro emerge una personalità culturalmente onnivora, psicologicamente inquieta e tormentata che si pone come rara avis nel panorama eurocolto del suo tempo.

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