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Clusone Jazz

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Clusone, 25.07.2008 - 27.07.2008

Seguo il festival di Clusone da ormai una quindicina d'anni. Le prime versioni da semplice spettatore, le ultime dieci da addetto ai lavori. Il marchio Clusone Jazz è sempre stato sinonimo di festival di qualità, di una direzione artistica competente, attenta alle nuove tendenze del jazz, con la forza e l'autonomia necessarie per invitare anche nomi poco noti ma meritevoli di attenzione. Nel corso degli anni mi è capitato di dovermi ricredere, a posteriori, su un pre-giudizio che avevo formulato sulla base della semplice lettura del programma. Di essere, in altre parole, piacevolmente sorpreso dall'ascolto di musicisti a me ignoti ma di grande talento.

Di questo ho sempre dato atto agli amici di Clusone, che mi perdoneranno pertanto se dico loro che quest'anno la ricerca del nome nuovo, di nicchia, è stata forse spinta un po' troppo all'estremo.

Nell'edizione di quest'anno, infatti, non solo il programma della parte itinerante ci è sembrato, complessivamente, più interessante e sfizioso di quello delle tre giornate conclusive del festival, ma proprio in queste tre giornate conclusive (su cui è incentrata la nostra cronaca) abbiamo avuto due concerti non all'altezza di un palco importante come quello di Clusone. Stiamo pensando al quartetto di Antonio Forcione (Jenny Adejayan al violoncello, Nathan Thompson al contrabbasso e Enzo Zirilli alle percussioni), una sorta di Oregon post litteram, ed al Limousine Trio del sassofonista Laurent Bardainne (Maxime Delpierre alla chitarra, David Aknin alla batteria), che ha proposto una colonna sonora per un film immaginario, molto prossima alle atmosfere di John Lurie, ma con parecchi anni di ritardo rispetto al modello originale.

Due concerti musicalmente privi di peso specifico, e soprattutto per nulla aderenti alla linea artistica del festival. Nel caso del Limousine Trio, in particolare, mi è sembrato venire meno quell'elemento di ricerca che, indipendentemente dai gusti personali di chi ascolta, rende comunque interessante un concerto. I tre musicisti sono forse troppo giovani per conoscere il sound di Canterbury, ma è inevitabile far loro notare come una quarantina d'anni orsono personaggi che oggi potrebbero essere i loro nonni facevano in ambito rock cose molto più avanti, e musicalmente assai più complesse, di quelle ascoltate qui a Clusone.

Bardainne ha peraltro avuto un'occasione per riscattarsi (occasione non colta) il giorno successivo, a Rovetta, in un duo con il chitarrista Roberto Cecchetto. Un incontro estemporaneo, come ne accadono tanti nel jazz, nel quale però non è scattata la scintilla. La predilezione di Bardainne per un fraseggio sottovoce, per un suono soffiato, per gamme dinamiche non particolarmente ampie, ha infatti finito per travolgere anche Cecchetto, che si è limitato a fornire un'ampia e raffinata tavolozza timbrica, invero poco sfruttata dal sassofonista francese.

Riferito di questi passi falsi (sui quali siamo poco indulgenti proprio perché Clusone Jazz è un festival di altissima qualità), segnaliamo con piacere che anche quest'anno abbiamo comunque avuto modo di ascoltare concerti importanti. Stiamo pensando alla performance del quartetto Tinissima del sassofonista Francesco Bearzatti (Giovanni Falzone alla tromba, Danilo Gallo al contrabbasso, Zeno De Rossi alla batteria), che ha proposto i brani dell'album "Suite for Tina Modotti". Un giro del mondo in musica (Friuli, Messico, Stati Uniti, Russia), che la formazione affronta ogni volta con spirito diverso. Se a Monza, dove avevo ascoltato il quartetto qualche settimana prima, c'era molto enfasi sugli aspetti più rock delle composizioni, qui a Clusone c'è stata maggiore aderenza all'estetica del CD, senza per questo perdere in energia. Spettacolari i dialoghi tra le ance di Bearzatti (meraviglioso il suo solo di clarinetto su "Russia") e la tromba di Falzone, che da un lato duella in agilità con il collega, e dall'altro fornisce un divertente e musicalmente prezioso apporto rumoristico. Un concerto davvero molto bello ed intenso. Di quelli, parafrasando la Guida Michelin, che meritano il viaggio.

Vicino ai territori del free il trio Herbie's Tree (Francesco Bigoni al sax tenore, Fabrizio Puglisi al pianoforte, Zeno De Rossi alla batteria), una formazione qui alla sua prima assoluta, che getta le sue radici nella musica di Herbie Nichols e che si sviluppa lungo le direttrici della libera improvvisazione, della ricerca timbrica, delle composizioni originali. Come spesso accade quando viene dato ampio spazio all'improvvisazione, il concerto ha avuto un andamento altalenante, tra momenti di esaltazione e qualche inevitabile calo di tensione. L'idea sottostante al trio è comunque ottima, e sul palco c'è buona intesa tra i musicisti. Herbie's Tree è dunque un albero, ancora giovane, che potrà dare ottimi frutti.

Grande ricerca, timbrica e strumentale, anche nel solo "Ritagli di Tempo" del chitarrista Paolo Angeli. Cuore del concerto è la giustapposizione tra la Sardegna delle musiche popolari e l'Europa delle musiche colte, naturalmente strizzando l'occhio a Bjork e a Fred Frith, protagonisti delle ultime fatiche discografiche del chitarrista. Al centro di tutto c'è ovviamente il particolarissimo strumento che Angeli si è costruito, che sviluppa e moltiplica le potenzialità di una chitarra tradizionale. Riprendendo McLuhan (The medium is the message), il rischio è talvolta quello di sovrapporre la ricerca strumentale (il mezzo) alla musica (il messaggio). Angeli è però dotato di un'estroversione ed una musicalità straordinarie, ed evita abilmente queste trappole riuscendo ad essere melodico anche nei momenti più liberi.

Molto accessibile ed orecchiabile la proposta del Talm Trio (Daniele D’Agaro al sax tenore, Mauro Ottolini al trombone, Fausto Beccalossi alla fisarmonica). La formazione si muove tra brani della tradizione di New Orleans, melodie minori di autori italiani come Mario Pezzotta e Wolmer Beltrami, e composizioni originali. Il tutto affrontato con con garbata ironia, con un atteggiamento divertito e divertente, ma sempre rispettoso e carico di affetto.

Nel concerto conclusivo del festival abbiamo ritrovato D'Agaro e Ottolini, in compagnia della Adriatics Orchestra (Sean Bergin a sax, flauti, ukulele, voce, Tobias Delius al sax tenore, Davide Ghidoni alla tromba, Bruno Marini all'organo hammond, Saverio Tasca al vibrafono, Antonio Borghini al contrabbasso, Christian Calcagnile alla batteria). Swing, echi asiatici, Sun Ra, brani di matrice popolare, il Sud Africa. Un concerto gioioso e permeato di grande libertà, con l'orchestra che si muove nell'istante grazie alla direzione estemporanea di D'Agaro, a solisti di eccellente livello, ed alla musicalità travolgente di Sean Bergin. Un concerto che ci ha riportato indietro nel tempo, ad un'epoca antecedente le avanguardie europee (che spesso hanno intrappolato la musica con un eccesso di razionalismo). Un'epoca in cui fare jazz aveva una dimensione estremamente ludica, e che la Adriatics Orchestra ci restituisce molto bene senza per questo fare retroguardia, ma anzi proponendo un linguaggio di stringente attualità. Davvero una bella chiusura di festival!

A margine dei concerti, come tradizione, Clusone Jazz ha promosso anche due incontri. Il primo, di interesse prettamente musicale, con Stefanio Amerio, patron di Artesuono. Nel corso di una piacevole conversazione moderata dal nostro Luca Vitali, tra gustosi aneddoti ed ascolti di album che per varie ragioni hanno segnato la storia di Artesuono, Amerio ci ha raccontato come si possa, partendo da un piccolo paese del Friuli, diventare uno degli studi di riferimento del jazz europeo. Il secondo, con l'amministrazione comunale di Comeglians (un piccolo paese in provincia di Udine), che ha illustrato il concetto di albergo diffuso. Un incontro per nulla legato alla musica, ma di grande attinenza con il territorio di Clusone. Nel corso degli anni infatti la Val Seriana ha subito una cementificazione eccessiva, soprattutto per la costruzione di seconde case, peraltro utilizzate solo per pochi giorni all'anno e chiuse per la restante parte del tempo. Il concetto di albergo diffuso è (anche) una possibile risposta a queste problematiche. Una risposta che nel caso della Val Seriana arriverebbe forse con un po' di ritardo ma, come si suol dire, meglio tardi che mai.

Foto di : Mario Calvitti (Forcione) Claudio Casanova (Bearzatti, Bigoni, D'Agaro) Daniela Crevena (Vitali-Amerio)

Ulteriori immagini di questo festival sono disponibili nelle gallerie dedicate ai concerti di : Mark Helias "Open Loose" Trio Aliffi & D'Auria Sestetto + Michel Godard Georgi Sareski Quartet.


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Solo in Berlin 1975

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