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Canterbury e dintorni secondo Ferdinando Faraó

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Mi preme molto riprendere Platterback di Mike Westbrook. Ho riarrangiato solo i primi tre quadri di quell'opera che considero straordinaria e vorrei finire il lavoro e portarla in concerto. Mi piacerebbe a quel punto invitare Mike e Kate Westbrook e fare
—Ferdinando Faraò
Fasano, solare cittadina pugliese in provincia di Brindisi, è da 17 anni teatro di un festival jazz eterodosso e controcorrente che, oltre a valorizzare talenti locali e a tenere alta la bandiera del jazz italiano (nel corso degli anni la rassegna ha ospitato, tra gli altri, Franco Cerri, Antonello Salis, Roberto Ottaviano, Franco D'Andrea, Stefano Bollani, Roberto Gatto, Paolo Fresu), ha, dal 2005, sviluppato un vero e proprio gemellaggio artistico con un'altra cittadina meridionale, anche se posta un po' più a nord e precisamente nel Kent, il "giardino d'Inghilterra." Parliamo di Canterbury, borgo universitario posizionato nel sud est della Gran Bretagna, che è la culla riconosciuta di un movimento che partendo dal jazz, dal rock, dall'avanguardia e dalla psichedelia ha sortito, a partire dalla fine degli anni Sessanta, musiche ibride di ottima fattura. Un gemellaggio che ha proiettato sui palcoscenici fasanesi alcuni dei rappresentanti più noti di quella scena, dagli Hatfield and the North ai Gong fino agli ultimi eredi dei Soft Machine. Ebbene quest'anno il festival si è in un certo senso superato ospitando un'intera orchestra di 25 elementi che ha portato alla ribalta un repertorio canterburiano riarrangiato in chiave big band. Artefice di questo coraggioso progetto l'Artchipel Orchestra, collettivo milanese diretto da Ferdinando Faraò (poliedrico jazzista che passa senza problemi dalla batteria alla direzione d'orchestra), che per l'occasione si è presentato al pubblico del Fasano Jazz con due ospiti d'eccezione, Keith Tippett e Julie Tippetts. Risultato: un concerto, o meglio, quasi un "light show"di antica memoria grazie ai visuals di AU+ (al secolo Fabio Volpi e Rosarita Crisafi), che ha messo in mostra la maturità di un ensemble che sa ormai padroneggiare con sicurezza e sufficiente ironia un repertorio che per complessità delle parti scritte ha pochi rivali. Per l'occasione abbiamo incontrato Ferdinando Faraò. "Sono felice e confuso—spiega—perchè a Fasano abbiamo suonato veramente bene (il concerto si è tenuto lo scorso 7 giugno al Teatro Kennedy incuneato nel centro storico della cittadina pugliese, ndr). L'Artchipel ha soli quattro anni di vita (è nata nel 2010 per celebrare i dieci anni di attività di C-Jam, Associazione Culturale ideatrice dell'Ah-Um Milano Jazz Festival, ndr), ma dimostra una sicurezza e una precisione da collettivo di lunga esperienza. E poi l'incontro con Keith Tippett che è subentrato nel secondo set del concerto fasanese dedicato alle musiche dei Soft Machine è stato a dir poco entusiasmante e sono molto soddisfatto di come lui e Julie si siano inseriti nelle parti e nella struttura dei brani."

Perchè la decisione di focalizzare il repertorio dell'Artchipel Orchestra sulle musiche della scuola di Canterbury? Primo perchè sono musiche che ho sempre amato; secondo perchè nel 2011 il giornalista Alessandro Achilli mi segnalò che proprio in quell'anno ricorreva il trentennale della scomparsa di Alan Gowen, compositore e tastierista dei Gilgamesh, uno dei gruppi più importanti di quella scena. A quel punto grazie ad Achilli contattai Aymeric Leroy, che è uno dei maggiori esperti di Canterbury, e riuscì ad avere le partiture per orchestra di alcune composizioni di Gowen. Due di queste, "Arriving Twice" e "Shining Water," sono entrate subito nel repertorio dell'Artchipel. Ho poi aggiunto "Moeris Dancing" di Fred Frith, tratto da Hopes and Fears degli Art Bears che è stato per uno dei dischi più importanti per la mia formazione musicale. E, quindi, partendo proprio da queste composizioni abbiamo cominciato a configurare un repertorio che avesse una identità precisa

Un'identità che potremmo definire jazz? Mi considero prima di tutto un jazzista, ho cominciato alla fine degli anni Settanta a frequentare e a farmi le ossa come batterista al Capolinea di Milano e a respirare il jazz quasi quotidianamente. Certo è che gli eroi della mia gioventù erano, oltre ai grandi jazzisti come Mingus o Coltrane, anche personaggi come Robert Wyatt, Alan Gowen, Hugh Hopper e altri. Musicisti che gravitavano in aree musicali limitrofe al jazz, ma che non potevano essere considerati dei jazzisti in senso stretto. Oggi, a 55 anni suonati, mi sono trovato a dirigere un'orchestra che suona le musiche che ho amato nella mia gioventù con seduto al piano nientemeno che Keith Tippett. Ecco se me lo avessero predetto nel 2010, quando è iniziata l'avventura dell'Artchipel Orchestra, non ci avrei mai creduto.

Al concerto fasanese avete proposto dei riarrangiamenti di alcuni brani classici del repertorio dei Soft Machine risalenti al periodo 1969-1971. Come siete riusciti a recuperare le partiture originali? È stato un lavoro lungo e difficile. In alcuni casi abbiamo dovuto trascrivere la musica come, ad esempio, per "Moon in June" di Robert Wyatt. Qui devo ringraziare il compositore Giovanni Venosta che ha trascritto in tempi rapidissimi la suite nella versione composta da Wyatt in occasione di una seduta radiofonica alla BBC.

Gli arrangiamenti dei brani dei Soft Machine portano tutti la tua firma? Sì, ad eccezione di "Noisette" e di "Dedicated to you, but you weren't listening," arrangiati dal pianista e compositore Beppe Barbera. Quest'ultimo brano è stata arrangiato per soli voci e si rifà alla versione per soli sassofoni del Delta Saxophone Quartet (contenuta nell'album Dedicated to you... but you weren't listening. The music of Soft Machine uscito nel 2007 per la Moonjune Records, ndr).

Arrangiamenti che troveranno posto anche in un cd? Sì. A settembre dovrebbe uscire il secondo cd dell'Artchipel Orchestra dopo il debutto di Never Odd or Even avvenuto nel 2012. Sarà un album che conterrà alcuni dei brani che abbiamo suonato a Fasano come "Mousetrap" o "Facelift" e altri, quasi tutti provenienti dal periodo d'oro dei Soft Machine, quello degli album Third e Fourth. Il cd sarà allegato al mensile Musica Jazz.

Come è avvenuta la scelta dei brani da riarrangiare? Le ragioni sono essenzialmente legate alla familiarità o all'emozione che un brano può scatenare. Quindi, nessun ragionamento razionale. Mancano all'appello le composizioni di Mike Ratledge che sono bellissime, ma che non mi affascinano quanto quelle di Hugh Hopper o di Robert Wyatt. Ad esempio, quando ho sentito la versione di "Dedicated to you, but you weren't listening" del Delta Saxophone Quartet, me ne sono innamorato subito! E mi sono detto facciamola anche noi, ma con le voci. E ho chiesto a Beppe Barbera, che è un fine arrangiatore, di lavorarci. Beppe ha fatto un ottimo lavoro e la versione finale dura 3 minuti. Lo stesso brano è stata quindi esteso, sempre da Barbera, anche in chiave orchestrale. E funziona benissimo.

A proposito di estensione, come Artchipel Orchestra siete partiti dal repertorio di Mike Westbrook passando per Alan Gowen, Dave Stewart, Fred Frith, e arrivando fino ai Soft Machine. Quale sarà il prossimo obiettivo? Mi preme molto riprendere Platterback di Mike Westbrook. Ho riarrangiato solo i primi tre quadri di quell'opera che considero straordinaria e vorrei finire il lavoro e portarla in concerto. Mi piacerebbe a quel punto invitare Mike e Kate Westbrook e fare qualcosa insieme con l'orchestra come è stato fatto a Fasano Jazz con Keith Tippett e Julie Tippets.

Cosa pensa Mike Westbrook dei tuoi arrangiamenti? MI fa fatto i complimenti. Ci siamo incontrati recentemente in occasione di un suo concerto con il Mike Westbrook Trio al Novara Jazz Festival. È un musicista unico, troppo poco conosciuto e considerato.

E con Keith Tippett quali altre aree di collaborazione potrebbero aprirsi? Ci sono alcune ipotesi di collaborazione che riguardano soprattutto alcuni suoi lavori passati. Penso, in particolare, alle composizioni per grandi collettivi. Ad esempio, Frames con gli Ark o Septober Energy dei Centipede. Poi tutto dipenderà dalle occasioni che si presenteranno in futuro. L'Artchipel Orchestra è un collettivo completamente indipendente e non ha sponsor di sorta, quindi ogni volta che intraprendiamo un lavoro è sempre una scommessa. Fasano Jazz è stato in questo caso un'opportunità straordinaria: ci è stata offerta la possibilità di presentare il nostro repertorio e di suonare con Keith Tippett. Un'occasione unica e devo dire veramente grazie al direttore artistico della manifestazione fasanese, Domenico De Mola, che ha mostrato una sensibilità e un'attenzione davvero rara.

Sempre a proposito di collaborazioni, proseguirà quella con Phil Miller iniziata ai tempi del primo cd dell'Artchipel? Phil avrebbe dovuto essere con noi a Fasano, ma per problemi di salute ha dato forfait. Siamo continuamente in contatto con lui e non escludo ci possano essere altre occasioni di suonare insieme.

Avete pensato a fare un tour in Europa, magari in Inghilterra? Certo che ci abbiamo pensato. È una nostra aspirazione. Ma come ho detto prima siamo un collettivo di 20-25 elementi e ogni volta che ci muoviamo è un bell'impegno. Ma ci stiamo lavorando e credo che prima o poi verrà l'occasione per suonare fuori dall'Italia. Occorre tener conto che dalla nostra parte abbiamo un repertorio che nessuno ha e, dunque, una specializzazione che dovrebbe attrarre gli organizzatori di concerti o di festival.

Cosa dicono i tuoi amici jazzisti del fatto che hai intrapreso una strada che sconfina in generi diversi e che non ha mai riscosso, almeno dalla critica più conservatrice, grandi consensi? Basta ascoltare per capire che la musica di Canterbury è un tesoro. È una musica che parla da sola. Detto questo, non si tratta di fare classifiche tra generi o di rinnegare delle esperienze. Io resto un jazzista e l'Artchipel è un'orchestra di jazz: la cosa curiosa è che la maggior parte dei membri dell'orchestra non conosceva la scena di Canterbury e sono stati loro i primi ad essere stati conquistati dalla bellezza di quella musica. E poi credo che un jazzista sia perfetto per interpretare quelle partiture, meglio di un musicista prog. Certo progressive si prende troppo sul serio, mentre generalmente un musicista jazz fa le cose con maggiore leggerezza e, soprattutto, ironia.

Artchipel Orchestra a parte, su quali altri fronti sei impegnato attualmente? In questo momento vorrei occuparmi di un lavoro che ho cominciato a registrare con dei musicisti africani, un gruppo vocale senegalese, e che si basa su mie composizioni originali. Ho in programma di organizzare un viaggio in Senegal proprio per approfondire questo percorso che si basa essenzialmente su una nuova idea di folk song. A tal proposito sono stato in Cina dove ho raccolto del materiale che prima o poi dovrò iniziare a rielaborare. L'anno scorso è uscito il secondo disco dei Fracture, Fracture II, trio d'improvvisazione, dove suono alla batteria con Luciano Margorani e Luca Pissavini ed entro l'anno uscirà un cd di Eloisa Manera, violinista dell'Artchipel Orchestra, che ha messo in musica Le Città Invisibili di Italo Calvino. Ho poi suonato nel nuovo cd del pianista Alessandro Deledda che uscirà sempre quest'anno con Silvia Bolognesi al contrabbasso e Francesco Bearzatti al sax. Infine c'è un altro cd che porta il mio contributo come batterista ed è quello con il sassofonista Larry Schneider, il pianista Luigi Bonafede e il contrabbassista Marco Vaggi. È un quartetto senza un leader con cui collaboro stabilmente. Il disco si intitola "Larry's Songs" e conterrà tutte composizione originali di Larry Schneider.

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