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Bob Brookmeyer dirige la Parco della Musica Jazz Orchestra

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Parco della Musica - Roma- 29.04.2010

La Parco della Musica Jazz Orchestra è da tempo un'importante realtà, fra le più valide e durevoli nel panorama delle big band italiane. Nata dall'incontro fra lo Iodice-Corvini Roma Jazz Ensemble e Maurizio Giammarco ha trovato, fino allo scorso anno, nel Parco della Musica il luogo ideale per esprimersi in programmi caratterizzati da incontri con musicisti esteri e italiani di altissimo livello. Negli scorsi mesi lo stato di profonda crisi che colpisce il jazz non ha risparmiato la PMJO, la cui stessa esistenza si è trovata in forse. Ora si notano segni importanti di ripresa e di recente abbiamo apprezzato un bel progetto di Giammarco sulla musica del secondo quintetto di Miles Davis, con Flavio Boltro tromba solista. Presto l'orchestra incontrerà George Lewis e a luglio, con la voce di Petra Magoni, presenterà un importante omaggio a Duke Ellington.

L'incontro con Bob Brookmeyer ha segnato il passaggio a Roma di un artista la cui statura è nota solo agli addetti ai lavori. Un classico "musicista per musicisti," passato sotto i riflettori quando si trovò a sostituire Chet Baker nel quartetto di Gerry Mulligan e poi perso di vista da stampa e pubblico, ma non dai tanti colleghi che hanno seguito la sua evoluzione nel campo della scrittura orchestrale, oltre ad apprezzarne la statura di virtuoso del trombone a pistoni.

Nella sua storia troviamo, oltre alla pratica del jazz moderno, profondi studi di armonia e composizione, una conoscenza del pianoforte tale da permettergli di incidere The Ivory Hunters a quattro mani con Bill Evans, la pratica dell'improvvisazione free nel trio di Jimmy Giuffre. Le big band hanno segnato la sua carriera dai tempi di Eddie Sauter, per trovare poi espressione nella Concert Jazz Band e con la Mel Lewis Orchestra, della quale fu Direttore Musicale. All'età di 81 anni continua a scrivere e incidere per la sua New Art Orchestra, viaggiando spesso in Germania dove le sue composizioni sono spesso commissionate ed eseguite.

Il repertorio che abbiamo ascoltato offriva un ampio panorama del suo pensiero musicale e includeva brani del passato e numerose composizioni dal recente Spirit Music (2006). La sua scrittura parte dalla tradizione e la ricostruisce sconvolgendo gli ordini prestabiliti, immettendo il portato della sua profonda cultura classica, aprendo orizzonti armonici di avanguardia. E' straordinaria la capacità di prendere standard come "Skylark" (qui ribattezzato "Cameo") o "I Can't Get Started," mantenere l'originale andamento melodico e immergerlo in agglomerati timbrici e accordali di seducente dissonanza. Gli assolo sono accompagnati da background che viene da definire sovversivi, con l'immissione nel contesto classico di tecniche prese dalla musica contemporanea e dal free, mentre le sezioni si trasformano sfruttando il polistrumentismo degli orchestrali. Così abbiamo ascoltato una sezione ance prima formata da tre clarinetti soprano e due claroni, poi da cinque sax soprano, una vera sfida alla difficoltà d'intonazione dello strumento. Le trombe hanno impiegato spesso il flicorno soprano, con effetti di morbidezza timbrica e varietà dinamica affascinanti.

La sezione ritmica vedeva l'aggiunta di tastiere e chitarra, ma di questa un'acustica a dir poco criticabile ci ha privato del suono. La scrittura per le tastiere è semplice, quasi ingenua, eppure perfettamente integrata nel contesto. Un esempio lo ha dato "Cerimony," affettuosa dedica alla moglie, con un andamento a modo di corale e l'impiego di colori e armonie memori di Mahler, Stravinskij, Gil Evans.

La PMJO ha offerto una prestazione eccellente, lodata in pubblico da Brookmeyer, uomo noto per il carattere assai schietto. I solisti, di rado amplificati in modo adeguato, hanno fornito un importante contributo: ricordiamo Maurizio Giammarco al soprano in "Silver Lining," Gianni Oddi in "Happy Song," brano che ci ha ricordato Don Ellis, Claudio Corvini in "Fire Flies," poi Tiziano Ruggeri, Pino e Pietro Iodice. Brookmeyer ha suonato il trombone in due brani e, malgrado qualche inevitabile acciacco dovuto all'età, ha saputo offrire un bel saggio di lirismo e articolazione bop.

Il concerto non è stato pubblicizzato in modo adeguato all'importanza di Brookmeyer, ma una schiera di musicisti di varie generazioni (ad es. Marcello Rosa, Franco e Dino Piana, Massimo Nunzi) ha saputo rendere omaggio a uno degli ultimi grandi maestri del jazz ancora attivi.


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